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Titolo: L'Opificio dei Colori
Autore: Stefano Amadei
Editore: Pubblicazione Indipendente
Genere: Fiaba, Fantastico
Prezzo: 0,99 Ebook – 5 Euro copertina flessibile
Rating: 10
Recensione:
L’Opificio
dei Colori
è un romanzo per bambini e ragazzi, scritto e autopubblicato nel
2018 da Stefano
Amadei,
già autore di RaccontiSvolazzanti:
un ebook illustrato comprendente dodici fiabe per bambini, anche
tradotto in inglese, francese e spagnolo.
Con
L’Opificio dei Colori Stefano Amadei firma il suo primo romanzo,
dedicato alla figlia, la piccola Ivana. Il libro, di quasi 150
pagine,
è presente in Amazon in formato cartaceo (prezzo: € 5,00) ed ebook
(€ 0,99), ma anche in altri store.
La
prima cosa che mi ha attratto del libro è stato il titolo,
che ho trovato essere bellissimo. La parola “opificio” mi
rimandava istintivamente a qualcosa di antico e magico insieme,
sebbene l’opificio non sia altro che una fabbrica dove si
trasformano delle materie prime per farne dei prodotti finiti.
L’Opificio dei Colori mi ha evocato qualcosa di alchemico, dolce,
fiabesco e potente insieme, come ogni libro per bambini e ragazzi
dovrebbe essere. E lo dico subito: è un romanzo che mi sono goduta
dalla prima all’ultima pagina.
Proseguiamo
con la descrizione delle prime
sensazioni che mi ha suscitato il libro,
e poi, addentrandomi nell’analisi del testo, capirete bene perché
lo abbia trovato stupendo
sotto ogni aspetto. Dopo il titolo sono stata attratta dalla
copertina,
che mi ha fatto sorridere. È spumeggiante di colori, e ha in primo
piano un bel gattone che ti guarda. Ve lo presento subito: nella vita
reale è Virgola,
ma nella storia si chiama Cameriere,
per via dei suoi colori – bianco e nero – e dei simpaticissimi
baffetti che si ritrova.
Vi
riporto qui di seguito la quarta
di copertina
del libro:
Cameriere
è un bel gattone bianco e nero con un piccolo problema: il suo
padrone si chiama Nereo Carbone e progetta di eliminare ogni colore
dalla Terra diffondendo la Grigite, vera minaccia per il mondo e per
il cuore di tutti gli uomini. Aiutato dal magico pennello di Dorando,
fondatore dell’Opificio dei Colori, il nostro amico a quattro zampe
si ritrova in un’avventura ricca di colpi di scena all’inseguimento
della Coloressenza, unica risorsa in grado di dissolvere la Grigite.
Ma sarà solo grazie all’amore che Cameriere troverà in sé la
forza di reagire e di donare alla Terra una nuova speranza fatta di
splendidi e rinnovati colori.
Entriamo
nel vivo della storia, soffermandoci sui significati pedagogici
che trasmette questo libro. Nel caso de L’Opificio dei Colori è un
aspetto fondamentale da considerare, perché è un romanzo che si
rivolge ai giovani lettori.
Il
libro è scritto in modo eccellente.
La lingua italiana è usata in modo perfetto, sotto ogni aspetto.
Faccio solo una segnalazione: vi sono presenti una decina circa di
refusi che, se venissero corretti, porterebbe il testo ad una stesura
perfetta. Ma basta questo per dire che una storia è scritta in modo
impeccabile? Assolutamente no. La scrittura di Amadei è fluida,
limpida, in una parola: armoniosa.
La fantasia dell’autore è sorprendente, ed esce fuori ad ogni
pagina, spingendo il lettore a leggere sempre più. Il linguaggio che
usa è semplice e ricercato al tempo stesso, stiamo parlando, cioè,
di quella “semplicità” che solo un grandissimo lavoro di ricamo
delle parole ad una ad una può generare. Mai una sbavatura, né
nella voce narrante né nei dialoghi.
I
dialoghi
sono così vivi, e le parole cucite così bene sui personaggi, che
sono arrivata alla conclusione che, se questo libro giungesse nelle
mani giuste, Cameriere starebbe a guardarci tutti dalle vetrine delle
librerie, dove per me merita di arrivare quanto prima.
L’originalità
della trama, il ritmo, la fantasia, l’eleganza, la dolcezza e la
cura che traspaiono in ogni dettaglio del testo fanno de L’Opificio
dei Colori uno dei libri per ragazzi e bambini più belli che abbia
mai letto. Questo detto da una che ama profondamente la letteratura
per giovani, da leggere e da scrivere.
La
storia si apre con l’incontro tra due ex amici ed ex soci: Nereo
Carbone
e Dorando
Pastelli.
Nereo porge a Dorando degli occhiali
da sole
prima di entrare con lui in laboratorio, perché la vista dei colori
è così abbagliante da danneggiare gli occhi. La storia ci parla,
attraverso i colori, della necessità per l’uomo di riconnettersi
alla fonte, simbolicamente rappresentata dal Sole. E chi non ricorda
cosa succede nel mito della Caverna
di Platone
all’uomo che, uscito dalla caverna, volge lo sguardo al Sole e vede
per la prima volta la realtà per quello che è veramente?
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Si
scopre, infatti, quasi subito che si parla di colori per parlare “del
tramonto, del rossore tra fidanzati, dei disegni dei bambini”,
dice Dorando. Si scopre che senza le emozioni, rappresentate dai
colori, si perde la voglia di vivere e non si ha più nulla in cui
credere. Quando Nereo riprende la parola, sembra che parli della
società di oggi, dove “non
desideriamo altro che un pratico grigio NULLA con il quale riempire i
propri cuori”,
e questo grigiore “sta
contagiando gli uomini come un virus”.
Nereo accusa gli uomini stessi di ciò che sta avvenendo, perché ciò
che vuol realizzare lui non è altro che il volere degli uomini, che
“non
vogliono più colori sgargianti e sono preda solo della paura di
restare soli e in silenzio”.
L’autore ci parla, dunque, di un pericolo che solo apparentemente è
esterno, ma che in realtà è da noi stesso creato e del quale,
successivamente, ne appariamo vittime.
Mi
ha sorpreso molto la frase che Amadei fa dire a Nereo con riferimento
agli uomini che preferiscono una vita grigia, e cioè questa: “Ho
pensato che se ci si trovano talmente bene, perché non dargli ciò
che desiderano?”
Lo stupore nasce dal fatto che io stessa faccio dire una frase molto
simile ed esprimere un concetto identico alla protagonista del mio
romanzo, a indicare che ogni cosa che accade, che ci piaccia o no, è
frutto dei nostri desideri. Noi, cioè, siamo i creatori di tutto.
Ecco che il tema che tratta Amadei è decisamente profondo e attuale:
Cosa sta causando l’uomo a se stesso e al mondo intero? È proprio
come se stesse sbiadendo.
Altra
simbologia potentissima si incontra dopo poche pagine, quando
l’autore contrappone al BUIO
TOTALE,
fine di tutto, il Viola,
e non a caso, dico io. Il viola, infatti, è il colore del settimo
chakra, che completa il percorso evolutivo dell’uomo in termini di
coscienza. È il colore dello spirito, della nostra essenza umana e
divina insieme. Nel viola l’essere umano scopre la propria identità
e completezza, frutto dell’unione armonica fra il rosso
(materialità ed energia, propriamente maschili) e il blu
(spiritualità, ed interiorità, propriamente femminili). Il viola è
dunque il simbolo dell’androgino, dell’unione di yin e di yang,
degli opposti, della pace divina. Jung lo definì “colore
metafisico”, e quindi è il colore perfetto da contrapporre al Buio
Totale.
Ma
introduciamo subito il gattone, Cameriere, che appare in scena
immediatamente, assieme a Nereo e Dorando. Noi umani siamo esseri
animali e spirituali insieme, ma ci stiamo così allontanando (leggi:
distruggendo) dal mondo animale da aver perso la nostra dimensione
spirituale. Paul
MacLean
ha creato la teoria dei tre
cervelli,
che è stata ormai ampiamente condivisa in ambito scientifico. Il
cervello umano, cioè, si compone di tre parti: il cervello
Rettiliano (tronco dell'encefalo),
il cervello Mammifero
(sistema limbico) e la Coscienza (neocorteccia). Con i cani e i gatti
condividiamo il cervello Mammifero, che è l'evoluzione della parte
rettiliana. Ed è in quel cervello che hanno sede i sentimenti e le
emozioni, quelle che ci permettono di prenderci cura di altri diversi
da noi. I mammiferi sono, non a caso, gli unici animali che si
prendono cura della prole, che si proteggono nel branco con la
vicinanza, etc. Questo cervello è la nostra parte più calda, umana,
ci permette di emozionarci dinanzi a ciò che accade, è la nostra
parte bambina, in una parola è IL
CUORE.
Con questo cervello si è sviluppato il senso di attaccamento, il
legame affettivo-emotivo e la coesione sociale. Ecco che Cameriere è
sì un bel gattone, ma rappresenta anche e soprattutto questa parte
di noi che abbiamo da troppo tempo dimenticato. Solo se l’uomo
saprà recuperare il suo legame intimo e amorevole con gli animali
potrà sperare di riconnettersi alla Fonte, e cioè a quel qualcosa
di universale che ci vuole esseri felici e contenti e non tutti
infermi, malati di Grigite.
L’amore
incondizionato, che gli animali ci insegnano come maestri di
saggezza, è la risposta a tutto quanto l’uomo sta facendo di male,
a se stesso e all’ambiente.
Si scoprirà in questa storia come l’amore sia davvero l’arma più
potente che esiste, capace di vincere qualsiasi brutalità umana, e
questo è vero nelle favole come nella vita reale. Le parole d’ordine
per vincere sono due a ben vedere: Amore
e Perdono.
Trovo perfetti i colori di Cameriere, bianco
e nero,
perché simboleggiano l’unione armonica degli opposti. In noi umani
l’Ego ci forza a vivere continuamente nella dualità, bianco-nero,
ed è questa la causa di tutte le nostre infelicità.
Straordinario
è un altro aspetto del romanzo, e cioè il fatto che l’autore non
marchi come “mostro” Nereo, tutt’altro. Nereo, infatti, nel
fondo è buono quanto Dorando e quanto me e te, tant’è che si
scoprirà quanto profondamente amasse Cameriere. La nostra natura più
profonda è fatta solo di luce e amore puro, esattamente come la
Fonte dalla quale veniamo e alla quale ritorneremo. Nereo è
semplicemente rimasto ipnotizzato da uno specchio
magico,
che per me simboleggia l’Ego che ciascuno di noi possiede. Se tale
Ego non viene controllato e ridimensionato, può prendere in mano le
redini della nostra vita e farci agire come burattini inconsapevoli,
capaci di compiere i peggiori atti, verso noi stessi e verso gli
altri.
Della
Fonte
ci parla espressamente l’autore quando dice: “Entrambi
sapevano che quello che serviva alla Terra era ciò che si chiamava
‘una ricarica’. Saltuariamente, infatti, i colori del mondo
dovevano attingere direttamente alla loro fonte per rigenerarsi,
ricostituirsi, ricaricarsi”.
E
questo avveniva, dice ancora l’autore: “mediante
la Matita di Dio: l’Aurora Boreale”.
L’avventura
di Harry Potter, ricordate tutti, comincia al binario 9 e ¾: un
numero che ha un profondo significato nell’antica Kabbalah della
quale la Rowling è grande studiosa. Ebbene, anche il viaggio dei
protagonisti della nostra storia parte da un binario molto
particolare: il
binario n.7.
Il
numero
Sette
è il simbolo per eccellenza della ricerca mistica, del viaggio alla
scoperta delle parti più intrinseche dell’esistenza umana, per
comprenderne il significato più profondo. Sette sono i colori che
compongono l’arcobaleno, i giorni della settimana, le note
musicali, i passi del Buddha, i Chakra, e questo solo per fare alcuni
esempi per far capire l’importanza simbolica di quel numero.
A
metà storia incontriamo Valchiria,
una maestosa gatta norvegese. Che nome straordinario ha scelto
l’autore per quest’altra gattona! Quando uno scrittore scrive col
cuore l’inconscio arricchisce la storia di simbologia che la mente,
da sola, non saprebbe mai usare tanto abilmente. Ecco che “Cameriere”
è il protagonista “eroe-servitore”
che va in battaglia (ho detto servitore e non servo, perché il
termine “servitore” ha un’accezione nobile, al contrario di
“servo”), mentre “Valchiria”
è la potenza divina che lo assiste in battaglia.
Ricordiamo che le Valchirie sono le protettrici degli eroi in
battaglia, figlie adottive di Odino e spose spirituali degli eroi che
condurranno nel Valhalla. Seguendo le gesta eroiche di Valchiria si
capisce come il nome che l’autore ha scelto per questa gatta
norvegese non sia affatto casuale, ma intriso anch’esso di
significato.
Delicata,
gioiosa ed emozionante è la scrittura, che lascia andare una
fantasia solo per farcene subito afferrare un’altra, creando una
storia che si vede mentre la si legge. Si vede benissimo Nereo in
groppa all’orso bruno, poi volare col suo ombrello e, ancora,
cavalcare un leone marino. Si vedono le pigne trasformarsi in ruote
di slitta e gli aghi di pino in briglie di cuoio, solo per citare
alcune delle magie alle quali si assiste ne L’Opificio dei Colori.
Fantasiosa e pregiata la descrizione di come nascano i colori e si
diffondano nel mondo, e altrettanto magico è il racconto di come
anche i colori, dopo un po’, debbano tornare alla fonte.
Impeccabile
il punto della storia in cui l’autore parla di come ci ammaliamo
quando perdiamo i colori, e cioè la capacità di emozionarci e la
gioia di vivere. Dice che la Grigite
si manifesta prima di tutto nel corpo,
ed è vero. È stato ampiamente dimostrato dalle psicoscienze che il
nostro inconscio parla direttamente attraverso il corpo e il corpo
parla a sua volta all’inconscio.
Mancano
solo dei personaggi da citare: i
poliziotti.
In questa storia, eccezion fatta per Peter, non fanno una bella
figura le forze dell’ordine, né in quanto a intelligenza né per
sensibilità umana. Come mai l’autore ci mostra dei poliziotti
imbranati e con un livello di intelligenza emotiva decisamente basso?
Non perché le forze dell’ordine siano così in generale, ma
perché, cosa importantissima, lo scrittore utilizza lo stratagemma
della “divisa”
per mostrare quella parte fredda, razionale, vincolata alle norme e
schiava dell’immagine sociale che risiede in tutti noi e che si
oppone al cambiamento, che ostacola la riuscita dell’impresa.
Stiamo parlando di un nostro nemico interno, cioè, quello che in
psicologia si chiama Super-Io,
il quale è perfettamente simboleggiato nelle storie da uno o più
personaggi in divisa.
Ecco
che leggiamo di Dorando che pensa tra sé e sé: “Poliziotto
dei miei stivali. Cosa diamine gli è venuto in mente di
ammanettarmi? Coi miei colori sarebbe stato facile liberarmi, ma così
è molto più complicato”.
Bellissimo! L’autore ci mostra perfettamente le parti di noi che
escono fuori quando c’è in atto un radicale cambio di vita, perché
tutti i personaggi sono, come sempre accade nelle narrazioni, parti
della stessa persona. Una di queste parti è rappresentata dall’uomo
in divisa – l’equivalente del Grillo Parlante in Pinocchio – e
cioè dal giudice
interno
che dobbiamo mettere a tacere per tornare a colorare le nostre vite e
guarire dalla Grigite.
La
Grigite, spiega l’autore, è quella malattia che annulla la
volontà, la voglia di fare, ma anche le differenze fra noi umani,
che sono ciò che fa di noi dei soggetti unici al mondo. Quando il
giudice interno viene messo a tacere? Quando vediamo che inizia a
remare dalla nostra parte. Nella storia non vediamo i poliziotti
sempre contro Dorando, infatti, incapaci di capire cosa stesse
succedendo davvero, perché ad un certo punto c’è una svolta e un
poliziotto tenta di sconfiggere da solo il Globo
Nero,
lanciandosi coraggiosamente contro di esso.
L’ultima
nota la riservo ai Cromani,
perché se la meritano tutta, mentre mi chiedo quanto certe perle
siano frutto di studi e conoscenze pregresse dell’autore e quante,
come io ritengo, siano invece sgorgate spontaneamente dal suo cuore
mentre scriveva, da quell’inconscio onnisciente al quale attinge lo
scrittore quando è deciso a creare una storia che lasci il segno.
Ebbene,
la descrizione dei Cromani nella formazione a quadrati
saldamente uniti fra loro
rimanda al concetto di Matrix
Divina,
o Inconscio
Collettivo
che dir si voglia, di cui tanto si parla oggi. Questo è
potentissimo, spiegano i fisici quantistici e gli psicologi junghiani
insieme, e prima di loro le antichissime tradizioni sapienziali, e
così giustamente appare ne L’Opificio dei Colori: una formazione
perfettamente in grado di respingere il getto nero e che resisteva
perfettamente ai venti di Giove.
Azzeccatissimo
il finale, stupendo, sia con riferimento allo specchio, che a
Valchiria, Cameriere e Nereo. Che dire? È la prima volta in vita mia
che scrivo una recensione ad un romanzo che in numero si traduce in
10
e lode.
Con gioia lo recensirò con poche parole ma 5
stelle meritatissime
anche in Amazon, perché trovo che sia una favola-romanzo
meravigliosa e dal grande valore pedagogico.
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