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SINOSSI:
Da quando il padre è morto in battaglia, Ragnvald si è battuto duramente per difendere la sorella e attende la maggiore età per recuperare le terre che gli spettano. Quando il capitano della sua nave tenta però di ucciderlo mentre tornano da una scorreria, Ragnvald capisce che è stato il patrigno a ordire l’agguato. Non è facile avere giustizia nella Norvegia vichinga, dove centinaia di piccoli re competono per un lenzuolo di terra. E se da Ragnvald ci si aspetta che sia disposto a morire per il proprio onore, dalla sorella Svanhild ci si aspetta un buon matrimonio. Non è questo però il destino che lei desidera e quando Solvi, l’acerrimo nemico del fratello, le offre l’opportunità di sfuggire alla crudeltà del patrigno, Svanhild deve compiere l’estrema scelta: famiglia o libertà.
Attingendo alle saghe islandesi, Hartsuyker racconta la vera storia di Ragnvald di Møre, braccio destro di Harald I Bellachioma, primo re di Norvegia, e della sorella Svanhild, assetata di libertà in una società in cui al crescere del potere del fratello cresce il valore di lei come pedina politica. Una grande saga che piacerà tanto agli appassionati di storia quanto ai lettori delle Cronache del ghiaccio e del fuoco.
RECENSIONE:
Ricordo
che quando c’era un bel temporale il mio vicino di casa era solito
uscire sul balcone e gridare a squarciagola: Odino! Odiiiiino!!!
Ebbene,
quel grido conteneva molta più passione di quanta riesca a
trasmettercene l’autrice in 570 pagine di romanzo.
Senza
nulla voler togliere alla Linnea Hartsuyker, mi viene spontaneo chiedermi come la Giunti /#
possa essere andata col lanternino a ricercare proprio quest’autrice
di origini scandinave che può far risalire il proprio albero
genealogico fino ad Harald Bellachioma, primo re di Norvegia?
Insomma, quello che intendo dire è che non trovo tutta questa
eccellenza nel romanzo, mentre dietro l’angolo ci sono un bel po’
di autori italiani che meriterebbero a mio parere un posto sullo
stesso palcoscenico concesso alla Hartsuyker. I primi che mi vengono
in mente sono Emanuele Rizzardi e Isabel Giustiniani.
Ma
veniamo alla recensione, così vi spiego meglio il mio punto di
vista.
Viking
è un romanzo storico corposo e dall’aspetto gradevole sia di cover
che di sottocoperta:
Un
libro di pregio, piacevole al tatto insomma. Quello però che non mi
garba è che la trama, che si snoda per quasi 600 pagine è
fondamentalmente un susseguirsi continuo di giri su e giù per i
fiordi novegesi, neppure tanto ben descritti, senza mai giungere a un
esito di rilievo. Il testo sembra sempre pronto a decollare per il
gran botto, invece non accade fondamentalmente nulla.
Possibile
che il massimo che sappiano fornire quest’orda di duri e temprati
guerrieri sia qualche scaramuccia fra i diversi clan per qualche
sgarro interno alle diverse famiglie? Insomma, da un punto formativo
non c’è nulla da dire. La ricostruzione degli ambienti famigliari
vichinghi e i diversi rapporti fra i piccoli Re locali e le gerarchie
interne alle famiglie è interessante, ma mi sarei atteso qualcosa di
ben più epico.
Non
fraintendetemi, Viking non è un brutto romanzo, ma non va oltre una
sufficienza abbondante.
Ammetto
che in alcuni momenti si rischia anche di perdere la bussola fra le
dozzine e dozzine di nomi scandinavi non certo facili da memorizzare
e lo dico da appassionato di questa tipologia di romanzi, nei quali
la mole degli attori in campo è molto rilevante. In questo caso però
i vari Re, al confronto dei quali quelli che si contendono il trono
di spade di Martin appaiono un ben sparuto drappello, sono pressoché
impossibili da memorizzare, visto che i rami dinastici delle diverse
famiglie vichinghe si intrecciano fra loro e che questi figuri amano
definirsi re anche quando il loro regno è costituito da una manciata
di casette di contadini in qualche sperduto fiordo norvegese.
Piacevole
l’alternanza fra le vicende dei due fratelli, volta a mettere in
mostra le diversità fra la vita di una fanciulla, seppur ribelle e
ben decisa a uscire dagli schemi, e il fratello desideroso di
diventare un guerriero nobile e degno del Valhalla. L’autrice si
sofferma sulle scelte e decisioni struggenti che affliggono i
personaggi, che si dibattono fra grandi ideali, onore, giuramenti e
tradimenti, analizzando la loro sfera psicologica e di conseguenza
anche i rapporti fra uomo e donna negli anni in cui Re Harald cercava
di unificare la Norvegia. Molto spazio è lasciato all’aspetto
politico e diplomatico, ma alla lunga questo tende ad annoiare, anche
perché non si presentano mai stravolgimenti e colpi di scena capaci
di giustificare tale profusione di dettagli a discapito dell’azione,
che invece viene lasciata ai margini.
Un
romanzo nella media insomma, ma quello che mi preme in casi come
questo è ripetere come esistano svariati autori nostrani, anche
autopodotti, che non hanno assolutamente nulla da invidiare
all’autrice e che purtroppo non arriveranno mai a beneficiare di
una vetrina così di spicco. Sono cose che mi lasciano sempre con
l’amaro in bocca purtroppo.
1 commenti:
Il periodo storico trattato mi affascina, ma ormai ho letto troppe recensioni negative di questo romanzo. Non penso che gli darò una possibilità.
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